Pier Paolo Pasolini, Marco Pannella: “Pazzi di libertà”
Pier Paolo Pasolini, Marco Pannella, il Partito Radicale: un rapporto molto poco indagato, nonostante siano noti i rapporti tra l’autore di “Ragazzi di vita” e il leader radicale. Un rapporto di amicizia, stima; e spesso, quando i radicali si sono trovati isolati ed emarginati, Pasolini è accorso in aiuto.
Una storia che viene da lontano. Elezioni politiche del 1963. La questione, ridotta all’osso, è se di debba o meno accettare e sostenere il centro-sinistra e quale partito eventualmente sostenere. Pannella, Angiolo Bandinelli, Luca Boneschi ed Elio Vittorini elaborano un questionario, “Il voto radicale”, che sottopongono all’attenzione di una ventina di intellettuali. Tra gli altri Pasolini, annuncia il suo voto a favore del PCI. Nel libro-conversazione “Le nostre storie sono i nostri orti”, curato da Stefano Rolando, Pannella rievoca quei giorni: “Ricordai a Pasolini che aveva scritto versi di invettiva contro i radicali: ‘…Schiavi della norma e del capitale’, Avevo anche perso quel breve testo e glielo chiesi. Non sono mai riuscito ad averlo. Mi diceva: ‘no, sai, in quel periodo non capivo nulla’ e mi dava dei piccoli falsi addolciti. Poco dopo facemmo ‘Agenzia Radicale’, in formato quotidiano. Un’impresa straordinaria con mille copie al giorno e più di trenta tirate al ciclostile. Pasolini scrive dall’estero, dove era impegnato in un suo film: ‘Ho la notizia che un foglio ciclostilato, a volte tecnicamente illeggibile, che è ‘Agenzia Radicale’, potrebbe non farcela più ad uscire; perderei uno dei pochissimi motivi per tornare in Italia…”.
Si arriva così al 1969. Nel gennaio di quell’anno chi transita di fronte al “Palazzaccio” di Giustizia a Roma, in piazza Cavour, si imbatte in una curiosa manifestazione: il Partito Radicale ha organizzato la “controinaugurazione” dell’anno giudiziario. Invitano giudici e avvocati, cittadini semplici danneggiati dalla giustizia. Agitano il caso di Aldo Braibanti, un professore condannato a nove anni di carcere per plagio, al termine di un processo che di fatto è una moderna inquisizione, una sorta di “martello delle streghe”. La vera “colpa” di Braibanti è di essere anarchico e omosessuale. Pannella va giù pesante: ai giudici che occupano della vicenda muove accuse gravi “ma sempre precise e motivate e non furbescamente evocate con quel malcostume del dire non dicendo, dell’uso accorto e inflazionato del condizionale e della negazione retorica che sono la regola del nostro giornalismo prostituito cui siamo abituati anche se non rassegnati”. Assieme al direttore di “L’Astrolabio” Mario Signorino e a Giuseppe Loteta, che ne raccolgono le dichiarazioni e le condividono, Pannella viene incriminato e processato. Un boomerang per chi ha querelato, da accusatore si trova ad essere accusato: “Ricordo che il Pubblico Ministero, sulle cose dette da un criminologo romano aveva dichiarato: con questo processo chiuderemo i conti con la Resistenza e con Sigmund Freud”. Si mobilitano Franco Fortini, il direttore di “Quaderni Piacentini” Piergiorgio Bellocchio, Pasolini. “Pier Paolo mi chiamò: tu non hai idea, ti ammazzano, su queste cose non si può…”. Scendono in campo Elsa Morante, autrice di quella “Storia” per cui Pannella stravede, lo considera uno dei più bei romanzi del Novecento e Alberto Moravia: “Marco”, gli dicono, “guarda che sono tutti molto preoccupati per te, per come ti esponi”.
Siamo ora al 1974: inizia la raccolta delle firme per otto referendum abrogativi di leggi fasciste e liberticide. Secondo le intenzioni dei radicali è un progetto che al di là del merito dei quesiti, costituisce il tentativo di oltrepassare l’immobilismo dei partiti, scuotendoli da dentro e da fuori.
Il 1974 è anche l’anno del referendum promosso da Vaticano e Democrazia Cristiana per abrogare la legge Fortuna-Baslini che istituisce il divorzio; su quel voto si concentra l’attenzione di partiti, movimenti, giornali, opinione pubblica; i referendum radicali si perdono per strada. I radicali raccolgono solo 150mila firme: molte per un partito di un migliaio tra iscritti e militanti, ma niente a fronte delle 750mila che costituiscono il margine di sicurezza richiesto per indire un referendum.
Pannella non si dà per vinto; “apre” fronti di lotta politica. Come risarcimento per la censura subita e patita dalla televisione pubblica, chiede che la RAI fissi una trasmissione della durata di 15 minuti riservata alla Lega per il Divorzio e un’altra per l’abate Giovanni Franzoni, della comunità romana di San Paolo fuori le mura; e ancora: essere ricevuto dal presidente della Repubblica Giovanni Leone; la garanzia che il Parlamento fissi i tempi per la discussione del progetto di legge Fortuna sull’aborto; garanzie che la proprietà del quotidiano “Il Messaggero” rispetti la linea democratica e laica assunta dalla redazione, anche dopo la cessione della famiglia Perrone. Inoltre si preme perché il Parlamento riconosca il diritto di voto ai diciottenni in tempo tale che possano votare alle elezioni regionali del 1975 e perché sia votata la riforma del diritto di famiglia. Per raggiungere questi obiettivi Pannella comincia uno sciopero della fame che durerà ben tre mesi. Sono giorni di grande mobilitazione, marce, occupazioni, appelli… Alla fine Pannella vince: il 19 luglio i radicali finalmente vengono “risarciti” da una TV pubblica che li ha sempre ostracizzati. Pannella pronuncia una parola vietata: “aborto”; è la prima volta che dagli schermi della RAI si parla di questo problema. Una bomba, quindici minuti storici; e sì che i vertici della RAI di allora fanno di tutto per disinnescarla: mentre Pannella parla dagli schermi della seconda rete, modificano il palinsesto della prima, piazzano un programma di grande ascolto; non contenti, viene fornita un’ora differente rispetto all’effettiva messa in onda.
Il giorno successivo Pannella viene ricevuto dal presidente Leone. L’estate radicale si conclude il 20 settembre, un’imponente manifestazione a Roma, all’insegna di: “Fuori Bernabei dalla RAI”. Decine e decine di intellettuali dichiarano che non collaboreranno più con l’Ente radiotelevisivo di Stato fino a quando il direttore generale sarà Bernabei; quest’ultimo, benché protetto da un potente Amintore Fanfani, schiacciato da una crescente campagna che monta sempre più, alla fine si dimette.
Un ruolo fondamentale per la conoscenza e la valorizzazione della campagna radicale viene svolto in quei giorni proprio da Pasolini. Il 16 luglio 1974 la prima pagina del “Corriere della Sera” ospita un articolo in prima pagina, dal titolo: “Apriamo un dibattito sul caso Pannella”. Inizialmente il direttore Piero Ottone non vuole pubblicare l’articolo del suo illustre collaboratore; Pasolini punta i piedi, ottiene di poterlo pubblicare, ma come “Tribuna Aperta”. Pasolini coscientemente, deliberatamente, “volantina” le ragioni di Pannella, gli obiettivi del digiuno, esorta la sinistra a intervenire, invita esplicitamente i lettori a reagire. Ne scaturisce un lungo e articolato dibattito: sempre sul “Corriere della Sera” interviene Maurizio Ferrara, autorevole esponente del PCI; e dopo lui, Giuseppe Prezzolini; i repubblicani Adolfo Battaglia e Giovanni Spadolini; il dibattito si allarga su altri giornali. Via via intervengono Arrigo Benedetti, Giorgio Bocca, Guido Calogero, Roberto Gervaso. Renato Ghiotto, Vittorio Gorresio, Nicola Matteucci, Alberto Moravia, Stefano Rodotà, Leonardo Sciascia…
È noto che l’ultimo scritto di Pasolini prima di essere ucciso a Ostia, è riservato ai radicali: quello che diventa una sorta di “testamento” e che viene letto, al congresso radicale di Firenze da Vincenzo Cerami: “Ho un ricordo bellissimo di quel giorno”, racconta. “C’erano con me Gianni Borgna e Goffredo Bettini, che allora erano due ragazzi…”.
Quel testo, effettivamente molto bello e coinvolgente, ancora oggi conserva l’attualità di allora, il suo valore è conosciuto e riconosciuto; lo si recupera facilmente, in internet.
Qui si preferisce riportare un altro prezioso documento, meno noto: una lunga conversazione tra Pasolini e Pannella. Ed è il modo anche per rendere omaggio a Pasolini, a cento anni dalla nascita.
Signori i pazzi siete voi…
Pasolini: Parla, e dì quello che più ti interessa dire…
Pannella: “Noi diciamo che il regime si chiude. L’insensibilità della stampa, per settanta giorni, al nostro caso, è stata una dimostrazione enorme di questa nostra affermazione: il regime si chiude. Quando si può dire che un regime è tale? Che un regime è fascista? Lo si può dire quando esso non ha più bisogno della violenza perché i suoi valori siano accolti “da tutti”. Si ha dunque una “violenza dello Stato” contro la stessa cultura precedente dello Stato, che era almeno potenzialmente una cultura “dialogica”… che era una cultura che accorpava… che era un corpo unico…(Oggi, la violenza dello Stato coincide con la violenza del dovere del consumo, come tu dici; e c’è dunque indubbiamente anche una conseguente “unità nel consumo”… Ma il consumo significa in definitiva consumare se stessi… In quanto si vive consumando e non creando… si consuma cioè la propria vita. La “unità nel consumo” è dunque un’unità mortuaria). Nel nostro caso tutto ciò è venuto fuori in modo lampante. Il potere consumistico ha esercitato su di noi la sua violenza sostanzialmente fascista. Non si tratta del vecchio carabiniere o del vecchio deputato (fascisti)… Si tratta di gente che pur ritenendosi antifascista ha agito in modo “scientificamente” fascista… Ha diviso cioè il Paese in soggetti di cui si può parlare e soggetti di cui non si può parlare. Ha programmato informazioni e notizie. Per esempio, quando un nostro compagno prete, un prete romagnolo… ha digiunato sei giorni per sollevare di fronte alle autorità provinciali il caso di un ragazzo “disadattato”… il “Corriere della Sera” ha fatto su questo caso tre servizi… “Il Giorno” ha mandato un inviato speciale… In quel momento io digiunavo già da quindici giorni… E lui aveva telefonato a me per chiedermi consigli su questa “arma nonviolenta” (e io glieli avevo dati: tre cappuccini al giorno, vitamine ecc.). Ebbene, questo prete, esterrefatto, si è visto di colpo, dopo sei giorni, al centro della curiosità nazionale. È chiaro dunque che questa curiosità è guidata e manipolata. Tuttavia a noi questi settanta giorni di digiuno (anziché sei) sono stati utili, perché ci hanno permesso di fare una serie progressiva di esperienze, anche se in sé negative (ma positive alla fine). Abbiamo sperimentato che dei “compagni” (tra virgolette: gente che si ritiene antifascista ecc.) si sono in realtà comportati come si comportava la “maggioranza silenziosa” durante il fascismo nei riguardi dei miseri duemila antifascisti che c’erano in Italia… I quali – allora, come appunto oggi noi – venivano fatti passare davanti all’opinione pubblica come degli irresponsabili (dei “mostri” nei confronti delle proprie madri, delle proprie famiglie, ecc.). Dunque tra i fascisti al potere e gli antifascisti in prigione, i “pazzi” erano questi ultimi. Questa orrenda mistificazione della realtà era facile durante quegli anni: oggi è più difficile, oggettivamente (noi non siamo in galera, possiamo parlare ecc.). Eppure riesce al potere allo stesso modo. “Noi” siamo i pazzi. E ci son voluti, a questo punto, quasi ottanta giorni di digiuno per far sapere almeno che questi pazzi esistono e che hanno delle richieste da fare. Richieste perfettamente legali dal punto di vista formale; richieste che in definitiva fanno il gioco del potere parlamentare. No. Non vogliono usarci nemmeno come alibi. Non vogliono nemmeno trasformare la nostra protesta in un aiuto alle loro stesse istituzioni, che vanno di giorno in giorno perdendo di prestigio… Ciò che ha fatto perdere la testa a coloro che devono prendere decisioni di “potere” su di noi, è il fatto che il nostro digiuno di “irresponsabili” in realtà è stato impostato in termini di virtù repubblicane e di diritti civili…Sapevamo che il 12 maggio avremmo vinto. Ma sapevamo anche che tale vittoria avrebbe fatto passare sotto silenzio altri delitti del regime: l’approvazione del finanziamento pubblico dei partiti e una serie di misure per la fascistizzazione – cioè la corporativizzazione – delle strutture è decisamente aumentata. Dunque: io digiuno oggi, mentre sto zitto il 3 maggio sapendo che il 13 maggio avrò centomila persone in piazza a festeggiare una grande vittoria. Il 12 maggio al Messaggero me ne sono uscito dicendo che avremmo vinto come minimo col 58 per cento dei voti…”.
Pasolini: Io qualche giorno prima avevo detto col 57 per cento. L’ho proclamato a Panagulis, che non ha avuto, lui, difficoltà a credermi.
Pannella: “Mi auguro che tu e io abbiamo fatto delle analisi presuntuose: perché se tali analisi fossero giuste, vorrebbe dire che saremo alla vigilia di un 1940-1943. Tu nel prossimo futuro temi soprattutto la catastrofe della cultura di massa “indotta”. Contro questo la parola d’ordine dei radicali è: Irragionevolezza. L’uomo non è libero se oggi davanti alla televisione, dinnanzi alla creazione coatta dei bisogni, non sregola i sensi… È il grande, il terribile problema del nostro tempo. La radiolina dell’Eiar, è vero, non ce l’avrebbe mai fatta a farci diventare “consumatori”. Oggi la Rai-Tv lo può. Su questo concordo con te. Su questo si fonda legittimamente la tua rabbia contro “L’Espresso”, contro i progressisti e i radicali “tra virgolette” – c’intendiamo. Ieri l’altro ho scritto un’invettiva contro i miei amici dell’”Espresso”, che son tutti piangenti per questo. “A Marco gli si è spappolata la testa” dicono (e lo dice anche mia sorella). “Noi siamo le uniche persone che lo amiamo, siamo con lui, lui è la nostra coscienza…” Mentre io dico che il loro è un giornale fatto tutto di pubblicità. Da una parte quella canonica della lavapiatti e della macchina di lusso, dall’altra quella scandalistica del Sid o del Sifar, o di Fanfani. Tu su questo punto attacchi anche i comunisti. E bisogna attaccarli ancora di più. C’è una certa capacità scientifica di essere clericali, stalinisti, fascisti: di essere espressivi – contro la verità e contro il dialogo, contro gli altri e contro se stessi. Ebbene questa capacità scientifica la Democrazia cristiana non ce l’ha. Essa in fondo è così meschina e confusa che non riesce a impedire che tra le maglie della sua stampa filtri la contraddizione borghese ed esploda. Ora io penso che l’esplosione delle contraddizioni borghesi sia più pericolosa, oggi, per la borghesia, che le tesi rivoluzionarie di Marx e di Lenin. L’esplosione delle contraddizioni può infatti avvenire anche nel senso della libertà. Invece non c’è dubbio che la cultura marxista-leninista sia divenuta inesorabilmente piccolo-borghese, con caratteri altrettanto inesorabilmente repressivi. Nessun giornale in tutti questi anni in Italia è stato capace di abrogare con altrettanta abilità e rigore l’esistenza stessa del nostro dissenso, quanto “l’Unità” e il “Paese Sera”. Non è stato smentito: sono stati i comunisti che hanno chiesto la nostra esclusione dalla Rai-Tv. E precisamente nella persona di Maurizio Ferrara (l’ha detto “L’Espresso”). Ma la cosa – è ciò che è allucinante – è stata fatta in perfetta buona fede. I comunisti ci hanno voluti escludere dalla Rai-Tv perché, letteralmente, “se avessimo parlato avremmo fatto loro perdere dei voti”. Io, per me, penso che la matrice comune a tutti i dirigenti italiani è proprio questa: la convinzione di essere investiti dall’alto ad agire per il bene del popolo, considerando il popolo un coglione e abrogando l’esistenza dei concorrenti”.
Pasolini: Voi, dunque?
Pannella: “Contro tutto questo, ecco cosa noi stiamo tentando di fare oggi. Innanzitutto non vogliamo venir meno neanche per un istante al nostro rigore. Per esempio, se appoggiamo il Movimento di liberazione della donna, appoggiamo ugualmente il Fuori: anche se il tentativo del Fuori è confuso e in sostanza fallito. Ma l’importante è che i tentativi – falliti o non falliti – siano tanti… Questo tuttavia è il punto: anche se la situazione politica è oggi molto grave e pericolosa, “noi vogliamo sembrare esattamente ciò che siamo”. Gli altri, davanti al pericolo, obbediscono alle leggi della prudenza, della tattica, del senso comune, si dicono: “Poiché il momento è gravissimo, facciamo qualche concessione, nascondiamo qualcosa di ciò che siamo… Al momento opportuno torneremo a essere rigorosi e sinceri…”. Noi no. Ed è per questa decisione – presa una volta per sempre – di non deflettere a nessun patto dal rigore e dalla sincerità, che io, per esempio, non sono più iscritto al Partito radicale. Lo sapevamo già da molto che questo sarebbe stato un anno decisivo per il nostro Paese: e i compagni dicevano, giustamente: “Bando ai formalismi, ci aspetta un anno decisivo: dobbiamo cercare – imponendo gli otto referendum – di rovesciare il corso della storia ufficiale, del potere e di mettere in luce la realtà di una maggioranza che nel frattempo si è maturata, è divenuta letteralmente “altra”… A questo punto perciò tu devi riprendere la “leadership” ufficiale e formale del partito”. “No”, ho detto io – anzi, abbiamo detto insieme. “Se davvero crediamo nella libertà come metodo, se siamo dei libertari, allora dobbiamo appunto considerare la libertà come un modo reale di vivere, non come un fine. Se questo è dunque il momento della lotta – e noi dobbiamo lottare vivendo la libertà – è anche il momento che io non solo non sia il “leader” del partito, ma che addirittura non sia più iscritto al partito”. Non siamo degli idealisti. Sappiamo che esistono delle psicodinamiche di gruppo che portano automaticamente a un’unità carismatica. Mentre i grossi gruppi, o i partiti, tendono all’unità burocratica, i piccoli gruppi come il nostro tendono, appunto, all’unità carismatica: che non è un dato di per sé libertario, ne liberante. Ecco la nostra moralità: non negare la nostra realtà, anche se magari vorremmo fosse diversa da quello che è. Dunque non più segretario del partito, ma nemmeno iscritto al partito. E cosa cambia? Niente. Campiamo e lavoriamo insieme. Il nostro è un “dialogo continuo”. E siamo certi che questa nostra scelta è “anche” scientifica e razionale”.
Pasolini: Mi sembra che a un certo momento del tuo discorso tu accennassi a una specie di alternativa drammaticamente possibile, oggi, tra il fascismo classico e un nuovo fascismo (da chiamare magari altrimenti). Qual è la differenza tra questi due fascismi?
Pannella: “I vecchi fascisti, vedi, in realtà non chiedevano altro che una astensione dalla politica. Era questo che predicavano: “Lasciate ai burocrati, lasciate alle corporazioni dei lavoratori il dibattito”. Il fascismo è il momento dell’abolizione del dibattito, che per noi è tutto. Solo nella piazza, nel foro, nel letto, a casa, l’uomo e la donna possono essere presenti in tutta la loro integrità. Considerati solo in quanto lavoratori (vecchio fascismo) o consumatori (nuovo fascismo), sono decapitati. A questo punto però ci si accorge drammaticamente che la struttura clericale, cattolica, burocratica, controriformistica è ancora la più idonea per assicurare anche il soddisfacimento del momento consumistico del neocapitalismo (che altro non è, in termini marxiani, che il capitalismo compiutamente realizzato). Infatti se tu abolisci le vecchie istituzioni (magari rinnovate, come la famiglia), andrebbe tutto in crisi. Tale crisi è stata resa esplicita alle coscienze in America dalla grande protesta – a carattere religioso e irrazionale – di questi ultimi anni. Qui da noi invece le vecchie istituzioni – pur rinnovandosi – sono rimaste. È per questo che diciamo che la DC è il Regime. È il vero fascismo. Essa, abolendo i “padroni delle ferriere” – con le loro contraddizioni storiche – e dando in mano il potere ai Cefis, cioè ai padroni burocrati anonimi, altro non ha fatto che potenziare enormemente la crescita capitalistica”.
Pasolini: Non sono del tutto d’accordo con te. Ciò che dici della DC è perfettamente giusto, ma vale solo fino a pochi anni fa. Poi qualcosa si è spezzato nelle catena dei valori dell’entropia capitalistica (piena, sia pure, di contraddizioni classiche). La crescita è stata così enorme da trasformare la qualità stessa del capitalismo: da rivoluzionarlo. Infatti tu stesso dicevi che il vecchio capitalismo aveva bisogno della violenza militare (il fascismo “abietto”), mentre a questo basta la forza della sua ideologia (una sorta di edonismo tutto sommato antimilitaristico e anticlericale).
Pannella: “Non precisamente così. Al posto del portiere che faceva la spia e del maresciallo dei carabinieri che arrestava, oggi il capitalismo ha le grandi centrali d’ascolto – ai comandi delle guardie di finanza, dei corpi di polizia – che ci possono sorvegliare e ascoltare in milioni alla volta… Esso penetra poi dappertutto, fin nel cuore della vita umana. Raggiunge la donna, per esempio. La donna un tempo era risparmiata: la società maschilistica la recuperava soltanto per il suo sfruttamento economico all’interno della famiglia. Oggi invece viene esaltata come consumatrice. Si è scientificamente scoperto che i suoi automatismi sono identici a quelli del maschio: Carosello vale per tutti e due, in una mostruosa parificazione dei sessi”.
Pasolini: Quindi secondo te è “alla lettera” che una repressione vale un’altra repressione.
Pannella: “Sì. La violenza fisica sui corpi vale l’aggressione consumistica sulle persone. D’altra parte non è “fisico” (come un tempo la tortura) colpire i centri nervosi, disinformare, abrogare i dati su cui giudicare, togliere la possibilità di conoscenza e quindi di decisione? Lo ripeto, il neocapitalismo non è altro che la realizzazione totale del vecchio capitalismo. Sono la stessa cosa, anche se talvolta ci sono delle diversità concrete enormi. Si sono per esempio radicalizzate le contraddizioni del borghese che vive la sua condizione borghese (contraddizioni che nascevano, per esempio, alle origini, dalla concomitanza storica della rivoluzione protestante puritana e della rivoluzione industriale ecc.), il borghese “idealista” ha oggi due alternative estreme: o trovarsi all’estrema sinistra in posizioni più o meno libertarie, o rinnegare la propria idealità, mistificata e tradita nell’esercizio del potere…”.
Pasolini: In Italia non è mai stata possibile una grande Destra. Oggi sarebbe possibile?
Pannella: “La grande Destra possibile è la Sinistra. Io ritengo infatti che oggi un libertario, un anarchico, può portare avanti senza paura il discorso della Destra storica, il discorso della “Legge è uguale per tutti”. Infatti la legge uguale per tutti è “la meno violenta” delle leggi possibili. Essa fa di per sé regredire il quoziente di violenza implicito istituzionalmente nella legge. I nostri digiuni di oggi altro scopo non hanno che quello di far fare le leggi e di rispettarle, oltre che di abrogare le leggi ingiuste. I nostri digiuni hanno lo scopo di rompere il silenzio intorno alla legge. Qualsiasi legge di emanazione liberale, se davvero fosse applicata fino in fondo, avrebbe un valore esplosivo. Perché il corporativismo, il clericalismo, il consumismo, queste forme diverse ma ugualmente chiare di ciò che io chiamo “Regime”, non tollerano per loro natura una legge liberale uguale per tutti. Perciò si può affermare che in fondo un libertario di oggi, pur restando sostanzialmente fedele alla Destra storica, si colloca politicamente alla sinistra del PCI”.
Pasolini: Allora: è ancora possibile, secondo te, una grande Destra clericale (o clerico-fascista, o sanfedista)?
Pannella: “No. Il papato di Giovanni XXIII è stato un episodio straordinario. Il concetto di tolleranza (che, credo, col nome di carità, è un concetto “anche” cristiano) è un dato della negazione del Potere: ed è l’essenza del laicismo. Papa Giovanni ha assunto questo “dato” nel mondo cattolico. Ma è stato, ripeto, un episodio straordinario. Con Papa Paolo tutto è finito, irrimediabilmente: tutto è tornato alla miseria culturale di un tempo”.
Pasolini: La continuità tra il fascismo del paleocapitalismo e il fascismo del neocapitalismo (in Italia non c’è mai stato…capitalismo), andrà dunque ricercata nella prassi, nei risultati oggettivi?
Pannella: “Sì. Una volta si tacitava un uomo mettendolo in prigione: ora non c’è più bisogno di metterlo in prigione. La repressione ha semplicemente delle nuove tecniche. D’altronde se io oggi mi spogliassi e uscissi nudo testimonierei, nel mio corpo, la continuità di Buchenwald”.
Pasolini: E come trovi tanta forza per fare ciò che fai? Io che non credo alla continuità di cui parli, e sento che c’è qualcosa di assolutamente nuovo, di tragicamente “peggiore” nel mondo, o almeno in Italia, sono molto interessato dal tuo ottimismo…
Pannella: “Vedi, si parla spesso dei diversi: la donna in quanto diversa, il povero in quanto diverso, il contadino in quanto diverso, l’omosessuale in quanto diverso. La vita di questi diversi è difficile. Ma ci sono anche altri diversi di cui non si parla mai, benché la loro vita sia ancora più difficile: si tratta di coloro che vogliono vivere la libertà, essere tutt’uno con la libertà. Ebbene, questi “diversi nella libertà” aumentano oggi di numero, la loro voce comincia a farsi sentire. E che cosa vogliono questi “diversi nella libertà”? Intanto, ciò che vogliono, lo vogliono qui e adesso, come gli estremisti di “Lotta Continua” o “Potere Operaio”; qui e adesso, non domani. Ma quello che essi vogliono qui e adesso, non è il “prendere”, è il “crescere”. E questa volontà, naturalmente, è fonte di gioia”.
A beneficio di quanti, mossi da curiosità, vogliano conoscere il contenuto dei versi-invettiva di cui fa cenno Pannella, sono quelli che seguono, con un’avvertenza: sono stati scritti nel 1959 e pubblicati su “Officina”, una bella rivista animata dal poeta bolognese Roberto Roversi. Versi dedicati al primo Partito Radicale, quello fondato da Mario Pannunzio e da altri fuori usciti dal Partito Liberale. Versi comunque “cattivi” e non meritati; ma per dirla con il suo autore, “non capivo nulla”; o perlomeno comprendeva “altro”.
Ai Radicali
Lo spirito, la dignità mondana,
l’intelligente attivismo, l’eleganza,
l’abito all’inglese e la battuta francese,
il giudizio tanto più duro quanto più liberale,
la sostituzione della ragione alla pietà,
la vita come scommessa da perdere come signori,
vi hanno impedito di sapere chi siete:
coscienze serve della norma e del capitale.